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I VAMPIRI VIRALI DISSANGUANO L’ADVERTISING

Ecco un estratto del whitepaper sui vampiri virali che ho pubblicato su Medium:

Lo confesso. Sono un nerd senza ritorno.
Provo un’attrazione a senso unico per tutto ciò che è tecnologico. Perché la tecnologia estende il nostro pensiero: lo fa diventare azione.

Un’automobile è l’idea di velocità, che ti fa diventare veloce. Un’iPhone è l’idea non chirurgica di cyborg digitale che ti fa diventare non chirurgicamente un cyborg digitale.

L’evoluzione comportamentale che ha portato all’homo appologicus è compiuta, e non si torna indietro. Noi nasciamo persone aumentate: siamo già il next step evolutivo che crediamo debba ancora arrivare. Ed ecco che questo punto diventa subito interrogativo: perché l’homo appologicus vive ancora come un homo sapiens qualunque, nemmeno troppo sapiens sapiens? 

Prendiamo l’esempio clamoroso dell’advertising. Così, finalmente, diamo anche un senso al titolo di questo pezzo. 

Siamo pervasi dall’information technology. Anzi, di più: siamo diventati noi stessi information biology. E questo è proprio quello che mi preoccupa.

Mi preoccupa che la tecnologia sia più avanzata del modo in cui la utilizziamo.

Mi preoccupa che il pensiero all’origine di una tecnologia resti una cosa da nerd.

Mi preoccupa che un mondo così ricco di possibilità virtuali sia così povero di idee reali.

Mi preoccupa che l’advertising sia preda dei vampiri virali: virus che innescano il contagio di un contenuto a scapito delle marche a cui succhiano awareness, memorabilità, e anche budget. 

Un esempio? L’acqua della Ferragni. Quanto ne abbiamo parlato, scritto, commentato… Ricordate di quale marca si tratta? No, “della Ferragni” non è la marca, mi pare. 

Social Media, Interattività, Computing Diffuso, Big Data, Blockchain: qual è la controparte creativa di tutto questo? Il product placement. Che volutamente non scrivo con le iniziali in maiuscolo. Perché non la merita: è roba vecchia. Roba di quando Ugo Tognazzi mostrava il pacchetto di sigarette a favore di macchina da presa nei suoi film. Roba da marketing anni ‘50, insomma. Quando il carisma dell’attore di turno avrebbe dovuto rendere più seducente la Brand. Come in una vecchia réclame, appunto. 

Questo è un grave problema: in un mercato pubblicitario che per risollevarsi dovrebbe spingervi al next step, i modelli creativi sono regrediti allo earlier step del product placement e della réclame con un testimonial nazional-popolare. Già, perché gli influencer sono questo: celebrità facili, easy celebrities. E ciò che è facilmente popolare ora, altrettanto facilmente verrà scalzato da qualcos’altro, tra poco. Con un’aspettativa, realistica (se costruita su metriche serie, fondate su relevant data), molto bassa di memorabilità e adesione ai valori della Brand.

 

Dopo la diagnosi della sindrome da vampirismo virale, volete anche una cura? Nella versione completa del paper, su Medium, ne indico addirittura due ;)

 


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